Direttore del Centro Studi sull'Oriente contemporaneo, professore di civiltà araba all'Università della Sorbonne Nouvelle-Paris III ed esponente di spicco di quella che potremmo definire l'élite culturale laica musulmana, il siriano Burhan Ghalioun è, tra l'altro, autore di numerose opere dedicate ai problemi politici e sociali del mondo musulmano.
Con il presente libro, il professore siriano ha cercato di evidenziare l'autentica natura politico-religiosa dell'islam e la sua capacità intrinseca di dare risposte di tipo sociale e politico che siano autenticamente democratiche.
Infatti, da una approfondita analisi delle relazioni che hanno legato l'universo culturale religioso islamico con quello afferente alla sfera temporale, anche mediante le modificazioni intervenute nel corso dei secoli, secondo Ghalioun è possibile evidenziare come da sempre l'Islam abbia rifiutato ogni forma di teocrazia, maggiormente nello sviluppo sunnita ma anche nella sua versione sciita, mostrando invece interesse per le gioie e gli affari terreni anche se all'interno di un orizzonte morale. All'origine di tale interpretazione della realtà mondana c'è l'idea della naturale bontà dell'uomo, motivo per il quale l'islam ha sempre negato ogni valore storico-teologico all'evento della crocifissione di Cristo. Contraria ad ogni forma di ascetismo e di monachesimo, la saggezza profonda dell'universo religioso musulmano risiederebbe, pertanto, nell'equilibrio tra i bisogni del corpo e quelli dell'anima.
Tuttavia, il XX secolo ha visto l'emergere prepotente di un pensiero religioso islamico più sensibile alle tesi teocratiche che alle aspirazioni umanistiche. Di fronte a questo indiscutibile dato evidente, Ghalioun avrebbe individuato la causa nel fatto che vi sia stato il "tradimento" della modernità, operato dallo stesso mondo musulmano, in quanto ha depotenziato il concetto di "nazione" acquisito grazie all'influsso del mondo occidentale, privandolo della sua componente "umanista" e trasformandolo o riducendolo ad un razionalismo secolarizzato - una sorta di religione dell'uomo senza uomo - che, invece di essere causa di emancipazione dell'uomo medesimo, ha teso ad asservirlo.
L'islamismo radicale, quindi, nascerebbe dalla modernizzazione imposta alla società musulmana - alla fine della fase riformista che, invece, senza rompere con il passato aveva evidenziato la necessità di assimilare valori e tecniche moderne - laddove si sono create due correnti, l'una occidentale e secolarizzata e l'altra identitaria islamica. Questo secondo modello, tuttavia, è stato minoritario almeno fino agli inizi degli anni '70 quando, trasformatosi in ideologia politica, ha chiesto il rovesciamento dell'ordine politico e culturale esistente, nazionale e internazionale. Esso è stato rafforzato, poi, dall'adesione di larghe fasce di classi medie che, deluse dal fallimento dei movimenti modernisti, hanno visto prospettarsi un modello "Orientale" da opporre a quello "Occidentale". La posta in gioco è stata la difesa di una specificità culturale, intesa come produzione di senso e di valore e fonte d'identità e di dignità. La sua ragion d'essere, quindi, è stata profondamente sociale e politica, come richiesta di partecipazione da parte di quei soggetti che si sono sentiti esclusi o minoritari.
Ma il riscoprire le radici religiose dell'islam, secondo il docente della Sorbona, non è altro che il ritorno al "grado zero" della politica che nasce dal blocco delle libertà e non dal credo religioso. Per questo, poi, abbandonando la Scienza Politica, si è cercato proprio nel diritto islamico i principi e le regole di governo. È un progetto politico che ha utilizzato la religione come fonte di legittimità e quadro di riferimento ideologico e simbolico, poggiandosi sui valori di fratellanza comunitaria e cercando, non di islamizzare lo Stato, ma di voltargli le spalle non contando più su di esso come modo di organizzare il sociale. Il presente volume, quindi, intende proporsi come apripista - più che proporre una soluzione - ad un dibattito da sviluppare all'interno delle società musulmane, per un vero e proprio rinnovamento del "politico" in terra d'Islam. In questo senso è centrale, secondo Ghalioun, recuperare il politico come spazio "aperto" ed in quanto tale elemento centrale dell'ordine della società.
Pertanto, diventa necessario superare le visioni riduttive del politico delle precedenti interpretazioni in quanto, se il ritorno alla "politica religiosa" non colma le carenze politiche, d'altra parte la riduzione del politico all'ideologico - espresso dal concetto viziato di laicità - non permette di sfuggire alla degenerazione. Per quanto concerne, poi, la prima soluzione, essa deve essere smascherata dal suo ammantarsi di religioso, in quanto l'islamismo radicale pone di fatto lo Stato al centro dell'azione politica e morale - e così facendo idolatra lo Stato - mentre gli antichi musulmani vi ponevano la religione.
Il pieno recupero, o il suo maturo sviluppo, di un sistema democratico fa sì che nessuno governi in nome di Dio e, d'altra parte, che nessuno privi dei suoi diritti politici e sociali un gruppo perché questi si appella a questo o quel patrimonio religioso o profano.
Molto concretamente, finisce Ghalioun, la democrazia non ha "alcuna opportunità d'esistere se non riesce a guadagnare l'adesione dei movimenti detti islamici". Essi devono scegliere tra la loro vocazione politica e quella religiosa. In tal senso vi deve essere una "conversione" alla democrazia. Altresì, deve cessare la strumentalizzazione dell'idea democratica in chiave ideologica e deve essere invece riportata alla sua "funzione naturale d'idea ispiratrice di un sistema di organizzazione del potere".
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